PICCOLO ELENCO NON DEFINITIVO …
30/03/2017
Premessa: quando viaggio con il mio Cottage in solitaria, devo fare affidamento su un tecnico -nel 99% dei casi uomo- che si occuperà di illuminare il mio prato e mettere le musiche durante la replica.
Quest’anno, spostandomi tra la Liguria e la Calabria, mi sono imbattuta in tre tipi-maschi da evitare.
TIPO-MASCHIO #1 – IL MASCHIO GIUSTO AL POSTO GIUSTO.
Sopracciglio sinistro sollevato, ghigno unilaterale. Ti guarda appoggiato alla parete, aspettandosi che tu cada in deliquio scodinzolando furiosamente al solo vederlo.
Tu invece vorresti prenderlo a sberle. Infatti si presenta all’ultimo, in un ritardo osceno, ostendando una sicurezza strafottente. Sorride, il maschio-alfa #1, mentre tu, vicina alla crisi di panico mantieni una calma surreale.
“Ansia da palcoscenico, tesoro?” (Tesoro!?)
No, brutta sottospecie di chihuahua, vorresti dirgli. Sono trent’anni che salgo sui palcoscenici. È che grazie a te sono in ritardo di 40 minuti sulla tabella di marcia. E oltre a doverti spiegare lo spettacolo e fare una prova tecnica, avrei l’ambizione di entrare in scena truccata, pettinata e magari rilassata …
“Ci penso io, tesoro” (Tesoro!?!?) “Ho fatto spettacoli ben più complessi. Il tuo è una passeggiata.”
Sarà, inutile scarto di un latrato afono, vorresti dirgli. Ma intanto hai lasciato complete zone d’ombra sul palco e sono tre volte che sbagli l’attacco di questa musica …
“Tutto chiaro, tesoro” (Tesoro!?!?!?) “Posso farlo ad occhi chiusi.”
E così devi aver fatto, razza di incrocio canino mancato, ti verrà voglia di dirgli. Visto che mentre in regia tu, maschio giusto al posto giusto, continuavi a sogghignare, in scena mi partiva la musica sbagliata al momento sbagliato, diventava buio in pieno giorno e ho dovuto fare i salti mortali per riparare ai tuoi errori.
A fine spettacolo, ovviamente, nessuna scusa. L’unico commento pervenuto? “Ma va, tesoro” (Tesoro?!?!?!?) “Non se ne sarà accorto nessuno”.
Segue, da parte mia, un dignitoso silenzio.
TIPO-MASCHIO #2 – IL DANDY CHE NON TI NEGA NULLA.
Occhiali con montatura in corno, mani dalle lunghe falangi, passione per il canto lirico. È ordinato e preciso, puntuale all’inverosimile, cortese e rispettoso. Armeggia con consolle e tastiera come se suonasse un Notturno di Chopin, proponendo soluzioni audio-luci sempre più elaborate. Ne approfitti, non ti pare vero, un maschio artista. Ti fai travolgere dalla melodia, ti getti in un tripudio di effetti e controluce e tagli e chi più ne ha più ne metta. Dettagli, arricchisci, osi, accordi.
Poi però, mentre ti allontani per truccarti e pettinarti e magari rilassarti, il maschio-alfa #2 ti rincorre e ti chiede di fare ancora un’ultima prova. La terza. Vedendolo finalmente da vicino, noti allora, sotto il ciuffo scolpito, una patina lucida; ai lati delle unghie curate, pellicine morse e straziate; sotto il colletto inamidato, un crescente arrossamento. E capisci di essere nei guai. E di quelli grossi. È un bluff. Non è il pianista da un concerto ma un tastierista da balera. Ti sei fatta stordire da un incanto, gli hai fatto comporre una sinfonia, ma non ha gli strumenti per eseguirla. E non puoi tornare indietro, non c’è più tempo. Puoi solo affidarti a Santa Rita e Santa Cecilia che veglino su di lui. E su di te.
Inutile sottolineare come è andata a finire.
A fine spettacolo, una cacofonia di scuse e variazioni sul tema del “mi hai chiesto di fare troppe cose. E tutte insieme!”. Vorresti urlargli in faccia, cantargliene di ogni, perché se non si è in grado di dirigere un’orchestra, non ci presenta con frac e bacchetta. E invece sorridi distante e dignitosa, continuando a smontare.
TIPO-MASCHIO #3 – IL FALSO AMICO VENDICATIVO.
Vile. Subdolo. Strisciante. L’aspetto è indifferente. È l’odore ad essere caratteristico. Un olezzo acido, bilioso, rancoroso. La flautolenza del dispetto infantile. Il puzzo dell’inganno. Il fetore dell’infame. Il tanfo del vigliacco.
Niente di personale, ovviamente.
Se la grande piaga putrida che appesta il nostro paese è l’omertà, nel tipo-maschio #3 la grande assente è la dignità.
Sorpreso in fallo, con le mani immerse nelle sue praticucce illegali, questi si sente vittima. “Fanno tutti così. Se devo pagare io, allora che paghino tutti”. Ed è qui che un po’ di dignità ci starebbe bene. Ma il falso amico vendicativo è talmente tramortito dal suo stesso livore che non riconosce più i colori, non distingue più i sapori, non rifiuta più gli afrori. Sollevando il capo dalla melma nella quale si è affossato, lancia denunce, getta segnalazioni, notifica accuse.
Il nostro è un paese che si tiene in piedi sul crinale del legale. Sul limite mobile del lecito. Sulla linea rossa del sottinteso e il sotterfugio. E spesso ci si barcamena e ci si arrangia sconfinando da un lato all’altro, troppe volte in mancanza di alternative lecite.
Del tutto limpido non è mai nessuno. Nel teatro, poi, e nell’associazionismo in generale, la percentuale sfiora il totale. Non quindi di venticello della calunnia si può parlare, ma di miasma della delazione.
La replica è saltata. Per un difetto di forma.
Il falso amico vendicativo non mi ha fatto entrare in scena, né truccata, né pettinata né tantomeno rilassata …
Difficile restare in dignitoso silenzio.
Grazie, pianta cadavere, upupa marcescente.
Niente di personale, dicevo.