Tra maggio 2014 e gennaio 2016.

Il personaggio di Orsetta si è presentato in punta di piedi, con un’esigenza molto pratica: sposarsi, fare figli e vivere in campagna dipingendo acquerelli. Un’esigenza banale, volendo, ma ahimè di difficile realizzazione.

Uno spazio tutto per séSoprattutto se si considera cosa significhi essere donna di città, autonoma, al crocevia degli anta, senza un compagno, senza figli, con un lavoro impegnativo e una serie di amicizie e parentele che certo non lasciano spazio ad alternative.

Perché è in questa situazione che Orsetta si trova. E vorrebbe uscirne.

Quando Orsetta è arrivata da me, il mio primo impulso è stato darle una scrollata alle spalle e metterla davanti a uno specchio perché vedesse la sua incredibile ricchezza. Ma ho deciso di tenere a freno il mio ego e ho scelto invece di prenderla per mano e con molto affetto accompagnarla lungo il suo viaggio, così accidentato e sdrucciolevole. Perché ho riconosciuto in Orsetta tante mie amiche e conoscenti, meravigliose donne convinte di trovare la loro definizione solo nella presenza di un compagno.

Provo per Orsetta una simpatia irrazionale e vivo nella speranza che trovi la propria felicità, in qualsiasi imperfetta forma essa possa manifestarsi. Probabilmente una forma che io non sceglierei mai. Ma io non sono Orsetta e “tu un marito e dei figli li hai avuti”, come mi è stato detto da un altro personaggio, nel primo testo della serie della quale il “Cottage” fa parte. Ho scritto infatti questo testo come seconda parte di un mio personale percorso di ricerca delle donne-figlie-sorelle-mogli-madri-lavoratrici dei nostri tempi. Sul tema che tanto mi affascina non ho pretese accademiche né esaustive, anzi, il mio sguardo ha sempre un angolo leggero e divertito. E ogni volta che lo affronto mi trovo pervicacemente fuori dal branco; come quel viaggiatore che commenta: “un pazzo contromano in autostrada? Ma saranno mille!”.

Natalia