LA VENA POLEMICA ANCORA NON SI È ESAURITA

Giusto per terminare un discorso aperto qui

Noi crediamo nella fidelizzazione del pubblico. Riteniamo importante che il pubblico si fidi del teatro, inteso come spazio fisico, e di chi lo gestisce. Perché riteniamo che il gestore debba puntare non solo allo staccare quanti più biglietti possibili ogni singola sera, ma a condividere con il suo pubblico delle scelte artistiche. Anche sbagliando, ma credendoci. Crediamo nel teatro e nel pubblico del COSA, non del CHI.
Ah, dimenticavamo. Riteniamo che il teatro debba significare cultura.

Il pubblico lo sappiamo e lo sperimentiamo continuamente, va coltivato e coccolato, accudito e rispettato.

programmazione stagione teatrale romana
Tipico teatro del CHI

Questo non significa che debba essere compiaciuto passivamente. La programmazione deve offrire agli spettatori una proposta consona ai loro gusti, certo. Ma almeno un 30% dell’offerta a stagione deve essere stimolante, inaspettata, sorprendente. Di solito invece il gestore di teatro tende a risponderti: “io lo so cosa vuole il mio pubblico, e quello gli propongo”. Ergo, il teatro muore. Nuovi autori non vengono rappresentati. Si va avanti con il teatro del CHI.

A Roma ci sono i grossi teatri che, ricevendo finanziamenti statali, possono permettersi di ospitare i Nomi. Non è questa la sede per discutere dei risultati artistici di tale scelta. Specialmente se i finanziamenti suddetti dovrebbero essere destinati a produrre cultura.

E ci sono i piccoli teatri, che non hanno finanziamenti nella maggior parte dei casi e vivono degli incassi e degli affitti e ospitano … beh, chiunque. A certe condizioni.

Molti di questi ultimi sono teatri decentrati. Sono teatri di quartiere, o teatri di zona. Nessuna di queste definizioni ha per noi un valore derogatorio. Anzi, dovrebbero essere un vanto.

E invece non lo sono. Sono la causa prima di ogni lamentela dei loro gestori.

Nella nostra logica (non supportata da alcuna esperienza di gestione teatrale, che sia chiaro, è un semplice pourparler) sembrerebbe semplice: se sei un teatro di zona, lavora sul territorio.

Ma i teatri di zona a Roma non coltivano il pubblico di zona.
E a Roma il pubblico di zona non conosce il teatro di zona.

Pensiamo a una tipica periferia romana, magari di quelle popolari, con mega-condomini affollati di famiglie di lavoratori. Questo è un potenziale pubblico, che la sera però torna a casa e ha solo voglia di togliersi le scarpe, mettere a letto i figli e guardarsi stravaccato sul divano una trasmissione a impatto cerebrale zero. Questo pubblico FORSE, e ripetiamo “forse”, è difficile che spontaneamente dica: “mmmmh, mi sa che stasera invece esco e vado a vedere cosa fanno nei teatri qui vicino!”

(Secondo noi anche il pubblico del centro, magari di negozianti, la sera torna a casa e ha solo voglia di togliersi le scarpe, mettere a letto i figli e guardarsi stravaccato sul divano una trasmissione a impatto cerebrale zero. Ma qui si apre un altro discorso che avrà forse spazio in un’altra pagina.)

È un pubblico forse ineducato al teatro, che non ci va da quando, ragazzini, li costringevano con la scuola ad andare all’Argentina o all’Eliseo a vedere il solito trinomio Pirandello/Goldoni/Shakespeare.

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Tipica programmazione NON ragionata

E se anche lo facesse, FORSE, e ribadiamo “forse”, perché qui stiamo facendo un’analisi teorica, non andrebbe a vedere la programmazione di un teatro del quale non ha mai sentito parlare.

Per carità, sappiamo che la burocrazia travolge ogni buona intenzione, che i finanziamenti sono risibili, che col teatro non ci si campa. Soprattutto quest’ultima cosa, la sappiamo benissimo.

Noi crediamo che il teatro debba ripartire da zero. Fare un consistente passo indietro, scrollarsi di dosso qualsiasi finanziamento pubblico, rimboccarsi le maniche e tornare al territorio.

Perché non è vero che al pubblico medio interessi solo la commediaccia e il vernacolo. Ma vero è che il polpettone sperimentale e d’avanguardia che parla al solo commediografo e regista, ha allontanato anche lo spettatore della piccola e media borghesia.
Puoi ospitare lo spettacolo più glorificato del mondo, puoi avere uno stuolo di ammiratori nei salotti e nei caffè, puoi essere portatore del cambiamento più epocale degli ultimi due secoli, ma se chi ti viene a vedere sono i soliti quattro amici più gente nuova che (fatti una domanda) allo spettacolo successivo non torna, FORSE c’è qualcosa che non torna.

Se al bar dell’angolo, il gestore e gli avventori non hanno mai sentito parlare del tuo teatro FORSE c’è qualcosa che non va.

Se il circolo anziani e la palestra di zona non ha mai ricevuto da voi un’offerta di convenzione per i propri soci, FORSE c’è qualcosa che non va.

(Ok, ora la smetto, avete capito la storia del FORSE)

Se non ci sono repliche dedicate alle compagnie del territorio, che si portano il pubblico del territorio che FORSE così scopre il tuo teatro FORSE c’è qualcosa che non va.

(Lo so, non riesco a smettere!)

Quindi, gestore di teatro, non osare lamentarti se non hai fatto il tuo lavoro. Se hai mandato solo la tua brava newsletter alla tua foltissima mailing list di cui abbiamo già abbondantemente parlato qui. Se hai ignorato completamente il territorio, omettendo di riempire il quartiere di locandine, di contattare i centri anziani, di promuovere biglietti scontati in base al CAP, di offrire il tuo spazio alle compagnie amatoriali della zona, e così via. Aprendo insomma al tuo pubblico. E soprattutto se hai scelto di presentare, per la tua stagione, semplicemente “gli spettacoli che hanno accettato le mie condizioni”.

IN CONCLUSIONE

Uno spettacolo a Roma rischia il forno, il teatro vuoto.

Platea vuota
il FORNO a teatro

Le sale romane di zona non hanno pubblico di habitué che si fidino delle scelte della direzione artistica. (È così. Punto.)

E soprattutto: se ci sentite ancora dire che faremo una replica a Roma … insultateci!!!