Spettacolo finalista al Concorso “Teatro in Corto” – II Ed. Festival dei Corti Teatrali
al Teatro Verdi di Fiorenzuola D’Arda
Con Anima Ardente entriamo nelle stanze private di due donne, legate da un fil rouge tessuto dalla loro comune forza: il filo delle parole e della poesia.
Afghanistan, 2005. Una reporter di guerra ottiene di poter scrivere un reportage sull’assassinio di una poetessa locale sconosciuta ai più, Nadia Adjuman, intrecciandolo alla vicenda parallela di Isabella di Morra, poetessa lucana vissuta a metà del ‘500 e anch’essa vittima dell’ambiente ottuso nel quale è stata costretta a vivere. Due casi, come si direbbe oggi, di femminicidio.
A raccontarne le vicende sono due personaggi femminili, uniti emotivamente alle protagoniste e testimoni del loro tragico destino.
Antonia Caracciolo, che dovendo spiegare al marito la presenza di alcune rime nella sua casa, non può che infrangere un giuramento e tentare di spiegare quel mondo ardente ed aspro in cui l’amica Isabella l’ha coinvolta. E Matilde stessa, che nella vicenda di Nadia rispecchia il lascito di un suo non sopito personale dolore.
In “Anima Ardente” entrambi i personaggi “testimoni” sono volutamente interpretati da una sola attrice. È invece lasciato alle rime il compito di dar voce alle due poetesse.
Così l’accento dello spettacolo va a porsi sulla traccia che la poesia, l’arte e ogni altra espressione della creatività e dello spirito umano lasciano, come un seme, nel cuore e nelle menti di chi le ascolta. Il tema dello spettacolo è infatti quell’essenza, quella forza non altrimenti definibile che spinge avanti l’umanità, nonostante ogni tipo di gabbia.
E che non raramente, in maniera silenziosa e spesso drammatica, è portata avanti dalle donne.
Isabella e Nadia. Due donne legate da un comune destino, da una vita che vita non è, ma piuttosto una culla drappeggiata di nero; sepolte vive nella acquiescenza del loro mondo, sacrificate sull’altare del patriarcato e dell’ignoranza.
Isabella e Nadia seppero raccontare la propria voce però nel canto libero della poesia.
Isabella e Nadia sentivano nel profondo del loro animo che soltanto la morte le avrebbe liberate da questo mondo di oppressione, di subordinazione e annientamento della identità. Urlavano allora nei versi l’anelito alla vita. La speranza mai sopita di un cambiamento, l’illusione mai realizzata di una vita migliore. Il conforto mai arrivato degli affetti.
Perché proprio dai consanguinei, i fratelli dell’una e il marito dell’altra, arrivò loro la morte. Morte emotiva e sentimentale, prima, e infine terrena.
Isabella e Nadia osarono esprimere il loro desiderio di vita, osarono sognare di farsi voce, di farsi arte, di farsi poesia.
Di queste due poetesse, che celebravano la vita come solo chi vive nel silenzio di una tomba perenne può fare, restano poche liriche e un destino comune nella vita e nella morte. Una morte per mano di chi avrebbe dovuto proteggerle e donare loro una vita ricca e serena. Ma di queste due donne la morte non è passata inosservata.
Tra i molti, anche noi ne abbiamo raccolto il testimone per raccontare altre due donne, che si assumono il ruolo e il dovere di non permettere che venga dimenticata. Donne tradite, donne in fuga, donne sospese. Due altre donne che di quella morte fanno il trampolino della propria rinascita.
“Non casualmente i due personaggi sono interpretati da un’unica attrice, l’intensa Natalia Magni. Lo spettacolo … ha molto emozionato il pubblico presente.” (LeggereTutti)
“L’intenso, elegiaco monologo Anima Ardente di Elena Carloni … Una grande prova d’attrice per la bravissima Natalia Magni … il cui volto ha l’allure adatto a descrivere situazioni e sensazioni. Rabbia, riflessione, scoramento, rivalsa, dolore, temperamento e riscatto femminile, tante sfaccettature psicologiche pienamente espresse in scena” (Latina Oggi – Claudio Ruggiero)
“Il testo procede per intersecazione ragionata di dialoghi ellittici, di tempi, contesti e situazioni, e attraverso un’alternanza dei due ruoli definiti da pochi ma precisi elementi distintivi: il chador, uno scialle, un cellulare e una scatola di legno. Mentre i versi continueranno a risuonare fuori campo, tra un resoconto e l’altro, grazie alle voci di Elena Carloni e di Teresa Federico. La Magni è versatile e incisiva, e passa con disinvoltura da una figura all’altra, trovando anche nella forma colloquiale e quotidiana, momenti di verità e partecipazione. (Oltrecultura-Alessandra Bernocco)
“Il racconto dei fatti e la recita dei versi (da una voce fuori campo) tengono inchiodato lo spettatore. Tutto è ben legato (…). Uno spettacolo sulle donne e sulla loro linfa vitale contro ogni violenza. (Il Giornale di Vicenza – Laura Guarducci)